di Claudio Trinca
Provate a chiedere a qualsiasi persona mediamente appassionata di nominare i più grandi vini pregiati del mondo: la risposta includerà senza dubbio Petrus. Venerato oltre ogni misura e con un prezzo fuori da ogni criterio razionale, questo vino del Bordeaux, nella AOC Pomerol, è considerato il vertice di ciò che di grande e di buono si possa ottenere con il vitigno Merlot. Proprio considerando il grande prestigio di questo vino sembra strano sapere che, fino a poco più di 30 anni fa, era in gran parte sconosciuto. La sua ascesa all’empireo dei grandi vini può essere ricondotta in buona parte a mirate scelte commerciali e, soprattutto, a una serie di cambi di gestione aziendale. L’ultimo nel 1962, che ha dato la spinta decisiva a staccare il Petrus dall’anonimato e farlo volare verso il definitivo successo mondiale.
Mercato
Petrus produce in media 4.500 casse di vino all’anno, cioè 54.000 bottiglie. I grappoli d’uva sono vendemmiati a mano e vinificati in cisterne di cemento, per poi passare 21 mesi in botti di rovere interamente nuove, prima di essere imbottigliato.
Il prezzo di una bottiglia può variare tra i 1.500 euro e i 6.000 euro, e ben oltre per una grande annata. Con un’operazione discutibile, una bottiglia di Petrus del 2000 è stata affinata nella stazione spaziale internazionale, per essere poi venduta all’asta da Christie’s con un prezzo stimato di 1 milione di dollari.
Per trovate commerciali come questa, qualcuno definisce il Petrus un vino snob, asservito alle esigenze di un bene veblen, icona del mercato del lusso. Eppure il Petrus non vive di fama usurpata. C’è un motivo reale per cui questo vino è uno dei più conosciuti al mondo e c’è una ragione comprensibile per cui estimatori che possono permetterselo sono disposti a pagarlo tanto. Il suo prezzo di mercato è indubbiamente legato all’irrazionalità voluttuaria dell’acquirente facoltoso, ma è indubbia anche l’effettiva eccelsa qualità di questo vino. Insomma il marketing c’è, ma c’è anche tanta storia e tanta unica qualità. Alcuni suoi millesimi leggendari, come il 1929, il 1989 e il 2000, dormono in bottiglie ancora esistenti nelle cantine di pochi fortunati.

Origini del mito
Più che del mito Petrus, è di una mia degustazione che vorrei parlare, prima e verosimilmente ultima. Corso sul Bordeaux, giugno 2022, un totale di 6 incontri, di cui il quarto era per me il più atteso, dedicato al Pomerol e al Merlot, vuoi per la mia predilezione per questo vitigno, vuoi perché sapevo che il Petrus era in degustazione.
E quel giorno arrivò.
La line up prevedeva 6 bottiglie del Pomerol, fra cui il Petrus 2017 come ultimo assaggio. E non poteva essere diversamente.
In una breve introduzione, il docente ci parla di una tale Marie Louise Loubat, proprietaria dell’Hotel Loubat, a Libourne, che agli inizi del secolo scorso aveva sulla carta del ristorante del suo hotel un “vino della casa”, diciamo così, a base di Merlot. Il vino era prodotto nella piccola azienda familiare degli Arnaud, nel cuore del comune di Pomerol, da un vigneto allora considerato di seconda classe. L’azienda era tanto piccola da essere uno dei rari casi, in Francia, in cui si produceva vino senza la presenza fisica di uno chateau. Il vigneto degli Arnaud, infatti, attorniava un modesto casale moderno che fungeva da abitazione e cantina aziendale.
Quel piccolo podere familiare era denominato Petrus già nei catasti napoleonici. L’origine di tale nome è a tutt’oggi incerta. Sembra che il capo degli apostoli non c’entri nulla, c’è chi fa risalire il nome al primo proprietario del podere, un antico romano chiamato Petrus, e chi asserisce che derivi dalla parola latina “petra”, ovvero pietra, roccia. E non a torto. Qui infatti il terreno è composto da materiale ciottoloso su una base di argille azzurre: un terroir originalissimo, perfetto per il Merlot.
Nel 1917 tale M. Sabin-Douarre, impiegato e manager di Petrus, acquistò dagli Arnaud la proprietà dell’azienda. Il motivo di questa cessione resta anch’esso incerto.
Sabin-Douarre era un habituè del ristorante dell’Hotel Loubat, oltre che fornitore del loro vino. Frequentandolo, fra una cena e l’altra, divenne grande amico di Marie Louise, e forse anche più che solo amico.
Ma andiamo alla cronaca di quei giorni. Siamo agli inizi degli anni ’20. L’acquisto del Petrus non si è dimostrato fortunato. Trovandosi in difficoltà economiche, Sabin-Douarre inizia a vendere quote dell’azienda proprio alla sua cliente, amica o compagna che sia, Madame Loubat, che acquisterà poche quote per volta, a partire dal 1925, fino ai primi anni ’40. Al termine della seconda guerra mondiale Marie Louise Loubat si ritrovò proprietaria unica di Petrus.
Si associa al più esperto negociànt Jean Pierre Moueix, con cui stipula un contratto per la gestione e distribuzione del suo vino.
Come prima decisione, J.P. Moueix, senza nemmeno toccare una sola botte o aprire un solo tappo di bottiglia, triplica i prezzi di quel vino, decidendo, in accordo con Madame Loubat, di non venderlo mai ad un prezzo inferiore a Cheval Blanc. Inoltre, J.P. Moueix ne curerà direttamente la produzione, ma soprattutto la promozione all’estero, facendolo arrivare sulle tavole dei grandi e dei grandissimi.
Madame Loubat muore nel 1961, senza eredi diretti. L’azienda viene ripartita fra due nipoti, con una quota lasciata a J.P. Moueix. Nel 1964 i nipoti della Loubat cederanno tutto a Moueix. Da allora la storia del Petrus è tutta un’ascesa di qualità e di gloria.
Questa in breve la storia della nascita del mito Petrus.
Mentre stavo ascoltando, un sommelier mi ha versato nell’ultimo dei calici a me davanti due dita di Petrus 2017.

Degustazione
Come dicevo all’inizio, la bottiglia di Petrus è stata volutamente collocata al temine del percorso degustativo della lezione dedicata all’AOC Pomerol. Questo, per consentire di trovarvi tutti i richiami che in qualche maniera erano preannunciati dai vini precedenti.
Prendo il calice, lo porto al naso.
Il tratto immediato del Petrus è una balsamicità in cui si avvertono riassunte tutte le caratteristiche migliori, da questo punto di vista, che si erano percepite nei vini precedenti. C’è l’eucalipto, come la menta. C’è un accenno incipiente di canfora.
Nella componente olfattiva che ricorda il cioccolato si avverte la parte più nobile del cacao, non quella burrosa, ma la mera polvere del cacao, di superba finezza.
C’è frutta. Sembra di sentire gelatina di fragole di bosco, con grande concentrazione aromatica della fragolina. Nel floreale si fa sentire la rosa canina, che lo differenzia dagli altri vini in cui il floreale era piuttosto scuro con fiori di campo e la viola. C’è un alleggerimento generale degli aromi, che negli altri erano abbastanza concentrati sul frutto scuro, mentre nel naso del Petrus abbiamo sensazioni più chiare e luminose. Il legno ha ingentilito i profumi, senza appesantirli, li ha resi nobili.
S’avverte anche terra battuta, argilla, ma senza quella nota spiccatamente metallica sentita nel primo vino, quello del podere confinante Château Gazin. Già dal naso, si può capire che questo vino non è mastodontico, nessuna pesantezza, nessuna grassezza come molti s’aspetterebbero da un Merlot. Se si è bevuto il Merlot Masseto è più facile cadere in questa aspettativa, essendo il vino della Tenuta dell’Ornellaia, un Merlot con molta concentrazione.
Al palato, tanto piacere, poche parole. Il Petrus ha eleganza, ha leggiadria, l’equilibrio perfetto è la sua unicità. Questo vino non è Merlot, è Petrus. Punto. E al suo stile unico, impeccabile, il territorio reclama la sua fondante importanza. Come descrivere il suo sorso? Largo, lungo, armonioso, sottile, elegante, coerente: le componenti danzano tutte insieme, in piena coordinazione, attorno alla perfezione. Una polifonia gusto-olfattiva, dove il contrappunto delle note aromatiche si fanno elegante ricamo.
All’abbandono del sorso, il palato resta fresco e profumato. E ci si risveglia come da un’estasi.
Curiosità
Sebbene possa essere citato insieme ai più famosi e prestigiosi Châteaux del Bordeaux, Pétrus non è un Grand Cru, non essendo menzionato nella classificazione dei vini bordolesi del 1855.
Molti Châteaux nel Bordeaux possono essere visitati. Per fare un giro nei vigneti ed entrare nelle cantine di Petrus è invece necessario un invito del proprietario, che raramente viene concesso. Per non dire mai.
La raccolta del 1991 non fu mai eseguita, quell’anno le condizioni per fare un vino di qualità sufficiente non ci furono e questa annata quindi non esiste.
Se vincete al Superenalotto e decidete di festeggiare con una bottiglia di Petrus, avete un solo rischio, quello di acquistare una annata insignificante, come la 1984 o la 1987.
Nell’asta Finest & Rarest Wines organizzata nel 2018 a Ginevra da Christie’s, il re della vendita fu proprio il Petrus. Due bottiglie, di due annate consecutive, la 1989 e la 1990, sono state battute a oltre 100.000 dollari. Il prezzo fu dovuto anche dalla rarità delle bottiglie, trattandosi delle pochissime bottiglie imperial in circolazione di queste due annate. La bottiglia imperial, contenente 6 litri, è messa in commercio molto raramente e solo in annate eccezionali.
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